La lettera di un padre

Il mio vuole essere un ringraziamento e un appello a favore del progetto “Gulliver”. La mia è una testimonianza e per essere tale deve essere semplice, chiara e dettagliata. Qui si tratta di droga, di dipendenza da sostanze oppiacee, da cocaina, da marijuana, da psicofarmaci, da alcool, dal gioco d’azzardo. Qui si tratta dei nostri figli che perdono la volontà di vivere. Qui si tratta del futuro stesso della nostra società. È bene tener presente di che cosa stiamo scrivendo, davanti ai tabù si gira intorno, ci si nasconde, si scappa via. E così succede, che se vengono tagliati i fondi agli unici progetti che hanno dimostrato una effettiva efficacia nel recupero dei tossicodipendenti sul nostro territorio, poche persone lo sappiano. Succede che davanti a quella bella e grande fotografia che sta davanti al Centro d’Accoglienza di Empoli in viale Petrarca, dove i ragazzi, gli psicologi, gli operatori, i genitori mettono in gioco la loro faccia per un appello alla solidarietà di tutti, si passi oltre, senza guardare, chiusi nelle nostre automobili in fila, puntando dritti verso il nuovo ponte in costruzione, che lentamente si avvicina.
Chiuso nella mia automobile in un parcheggio, tre anni fa, ricevetti la risposta del medico. “ Sua figlia, purtroppo, risulta che faccia uso di eroina già da diverso tempo, ne è dipendente”. Avevo trovato due giorni prima una siringa nella sua stanza. Era tornata a casa per alcuni giorni. Pallida, camminava strusciando i piedi, inarcando le spalle. Ci stava chiedendo aiuto senza dircelo apertamente. Io cosa potevo fare? Noi cosa potevamo fare? Mia moglie era rimasta in silenzio. Anche lei, così forte, così attenta, così colta e informata, mi guardava impaurita e senza dirmelo mi chiedeva aiuto. Piangevo da solo in quel parcheggio. È inutile che mi dilunghi sulla descrizione della nostra famiglia, sul nostro stile di educazione, sulla personalità nostra e di mia figlia, sui presunti errori educativi da noi commessi. La prima cosa che mi hanno insegnato al “Gulliver” è che non esistono personalità, stili educativi e condizioni sociali che predispongono all’uso delle droghe. Può succedere a chiunque, perché la droga è diffusa ovunque, perché la dipendenza sta attanagliando la nostra società. Non mi sono mai sentito solo e impotente come in quel parcheggio. E mi piangevo addosso, cercavo di capire cosa avevo sbagliato, concludendo che avevo sbagliato tutto e non sapevo cosa fare.
Poi, subito, abbiamo incontrato le persone che ci hanno aiutato. E, badate bene, non è stata fortuna, ovvero la nostra fortuna è stata quella di abitare a Empoli, dove da anni si stava lavorando con progetti innovativi contro la droga: Il Ser.T e il progetto “ Gulliver”.
Un medico del Ser.T ha preso in cura nostra figlia in modo totale, preoccupandosi non solo delle analisi tossicologiche, ma della sua intera persona. A noi genitori è stato chiesto non di abbandonarsi alle recriminazioni, ma di collaborare in modo concreto, avveduto, scientifico, al recupero. Dovevamo agire sui nostri comportamenti futuri, così come stava agendo con un grande sforzo di volontà nostra figlia, ma per fare questo non potevamo essere soli, ci voleva un luogo d’incontro, una comunità. A Empoli questo era possibile. Presso il Centro d’Accoglienza era attivo da anni il progetto “Gulliver”, nell’ambito di un più ampio progetto denominato “ Giovani e Benessere”. Un progetto nato e operante in stretta collaborazione con il Ser.t, una comunità di recupero aperta, dove i dipendenti da droghe, pur rimanendo presso le loro famiglie e continuando le loro attività di lavoro e di studio, sono guidati verso la completa liberazione dalle sostanze tossiche. Gruppi di figli e gruppi di genitori e con loro una squadra di psicologi e di educatori che in modo semplice e chiaro accompagnano gli uni e gli altri verso l’affrancamento, verso una rinnovata fiducia nella vita e nella società. Un lavoro duro per tutti i membri della comunità, un lavoro che mette di fronte alla realtà con uno studio approfondito dei propri comportamenti. Ma i risultati li ho incominciati a vedere fin dall’inizio: genitori che di nuovo sorridevano serenamente, figli che, liberati dalle droghe, intraprendevano con successo nuovi, difficili percorsi di studio e di lavoro e infine la mia di figlie, che ora riesce a parlare con noi, che, come dovrebbero fare tutti i figli, ha la forza di prendersi cura non solo di se stessa, ma anche di noi genitori, inevitabilmente avviati verso un’età più incerta.
Pensare che un progetto come il “ Gulliver” possa chiudere per mancanza di fondi è davvero triste. Abdicare davanti alla droga e, di conseguenza, davanti alla malavita organizzata in modo così stupido vuol dire aver perso di vista il vero nemico, ignorandolo, mentre da tutte le parti si vocifera di crisi, crescita e sviluppo con un linguaggio meramente economicistico. C’è poi il valore scientifico del progetto, che rischia di andare completamente perduto. Ciò che potrebbe essere un esempio per la ricerca terapeutica internazionale e un vanto della società empolese, grazie alla sua efficacia innovativa di comunità integrata nel territorio, rischia di perdersi per poche migliaia di euro.

UN PADRE

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